Prefazione di Flavio Medici

 

Questi racconti di Giuseppe Veronese ci vengono incontro piani e limpidi, e possiedono la freschezza delle fiabe. A questo genere letterario si ispirano anche le strutture, modellate su uno schema narrativo ricorrente: da una situazione iniziale di mancanza e perdita, attraverso una serie di peripezie, la vicenda sfocia in un finale rassicurante, in cui tutto si appiana. E il rovesciamento è in genere netto, perentorio: un caso emblematico è rappresentato dal racconto I pupazzi di neve in cui Arturo, bambino asociale e dispettoso, nello spazio di una notte diventa il contrario di quel che era, vale a dire un individuo ormai maturato, altruista e aperto all’amicizia.

Lo schema narrativo delineato prima serve perfettamente a realizzare lo scopo di questi racconti: deprecare il mondo così com’è e indicare come dev’essere. Il messaggio educativo in un caso (si tratta de I pupazzi di neve) è indicato esplicitamente, mentre negli altri brani è deducibile senza difficoltà dalla successione degli eventi.

E ancora alla fiaba sono riconducibili due altre caratteristiche. La prima è lo spiccato gusto per l’azione. Di qui deriva la forte tendenza a stilizzare: i personaggi hanno sì un nome, ma non sono tanto individui concretamente delineati, quanto piuttosto simboli di un modo d’essere (un vizio, una fissazione o una virtù); i luoghi, caratterizzati con pochi dettagli, non designano una precisa geografia, quanto un’atmosfera morale, nella persuasione che cieli e terre diversi vedono uomini fondamentalmente uguali. La seconda caratteristica concerne l'atteggiamento manifestato nei confronti del soprannaturale: nel terzo racconto, senza lasciarsi impressionare, Claudia ascolta il gatto che improvvisamente si è messo a parlare; la straordinaria ricomparsa sulla terra del nonno morto, ne Il fratellino, è accolta da Luca con tranquilla imperturbabilità, perché egli, come tutti i personaggi delle fiabe è soprattutto determinato ad agire, e non ha tempo per stupirsi di ciò che è insolito.

Fiabe nelle strutture, nella tipologia dei personaggi e nelle tecniche narrative, i racconti di Veronese non rinunciano però a guardare la nostra civiltà contemporanea, e in tal senso si indirizzano non a chi vuole evadere dal mondo, ma a chi vuole capirlo per poterlo poi cambiare. La diagnosi della vita attuale è proposta con chiarezza già sin dal primo brano (La grande fiera del giocattolo), in cui sono presenti i simboli della mentalità economicistica: il lavoro, inteso soltanto come mezzo per conquistare la ricchezza, il denaro e i beni di consumo.

Con un tono garbato, ma anche chiaro e fermo, nel corso del libro sono poi denunciati gli altri mali del nostro tempo: la scarsa disponibilità degli uomini, che hanno denaro per regalare oggetti preziosi, ma non tempo per donare un po' di se stessi a chi chiede amicizia e affetto (La grande fiera del giocattolo); l'ostilità nei confronti della natura e degli animali, giudicati come una minaccia per il benessere dell’uomo (Il gatto); gelosie che minano l'armonia familiare (Il fratellino); rancore vendicativo nei confronti del mondo (I pupazzi di neve).

Sbaglierebbe però chi pensasse che Veronese si sia fermato all'impietosa radiografia di quel che c'è. I suoi racconti hanno invece un intento pedagogico, e propongono rimedi e alternative, prescindendo dalle grandi (e inapplicabili) utopie e additando invece come modelli i piccoli, magari elementari gesti che un tempo si era soliti chiamare atti di buona volontà. Qualche esempio? Bisogna essere più vicini ai propri familiari: ecco la lezione che viene imparata, ne La grande fiera del giocattolo, dal padre che si guarda nello specchio di Babbo Natale. Oppure -è l'invito contenuto ne Il fratellino- è doveroso capire che gli altri sono una ricchezza, anche quando chiedono sacrifici e rinunce. Ma la lezione più bella è offerta da I pupazzi di neve dallo stesso protagonista, che vince la sua solitudine di teledipendente scoprendo che "la finestra di casa sua è una televisione molto più bella, più vera e reale." In queste parole si può scorgere quella che è stata (e a maggior ragione è oggi) la più grande aspirazione dell' uomo nella modernità: abbandonare il regno artificiale delle macchine e optare per la natura, non già con l’intento di arrestare il progresso, ma per riappropriarsi del cosmo. È quanto impara Luca (protagonista del quarto brano), che ha per compagnia solo il cielo stellato, e lasciandosene permeare capisce chi è e cosa vuole.

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